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Risarcito il minore per la perdita della capacità lavorativa

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Se un minore vittima di sinistro subisce gravi lesioni, bisogna tener conto anche della perdita della capacità lavorativa generica.

Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Lecce con la sentenza del 6 febbraio 2017 n.40, che è stata chiamata a giudicare il caso di una sedicenne investita da un’auto mentre era alla guida del proprio ciclomotore.

La ragazza, che aveva subito nell’incidente un forte trauma cranico, ora soffre di disturbi cognitivi e convive con un’invalidità permanente del 34%, che l’ha obbligata a mollare gli studi e di conseguenza a non poter più svolgere le normali attività quotidiane precedenti al sinistro.

Il Tribunale ha accolto la richiesta di liquidare:

  • una personalizzazione del danno biologico, nella misura del 10%, per la compromissione delle specifiche attitudini dinamico-relazionali;
  • la riduzione della capacità lavorativa quantificata come danno patrimoniale, parametrandola al triplo della pensione sociale.

Questo perché:

«nel caso di lesioni sofferte da un soggetto minore, al momento del sinistro ancora studente, che abbiano determinato una invalidità permanente di non lieve entità, il giudice di merito, investito della domanda di riconoscimento del conseguente danno futuro patrimoniale per perdita di capacità lavorativa generica, non compie un corretto procedimento di sussunzione della fattispecie, allorquando ritenga di procedere alla liquidazione di tale danno all’interno della liquidazione del danno non patrimoniale».

Il danno derivante dall’inabilità lavorativa futura è quindi da conteggiarsi in maniera separata rispetto al danno non patrimoniale, dato che le lesioni riportate dalla minore sono di grave entità e che non si può negare che questa avrà molte difficoltà a trovare un’occupazione rispetto ad un lavoratore senza quelle menomazioni.

I giudici infine sono andati anche oltre, sottolineando come l’attuale situazione del mercato del lavoro sia particolarmente instabile e accentuata dalla crescita del lavoro a termine: la capacità lavorativa generica è quindi da considerare come «un autonomo danno di chiara valenza patrimoniale» che pregiudica «la possibilità del danneggiato di trovare anche lavori interinali, nell’arco della propria vita lavorativa».