• De iure condito

La sosta è circolazione

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autogruSembrerebbe un ossimoro in realtà è un recente orientamento espresso dagli ermellini di Piazza Cavour con la pronuncia nr 8620 del 29 aprile 2015 a Sezioni Unite. Venivano infatti chiamati a chiarire se i danni prodotti da un mezzo in sosta dovevano essere o meno risarciti. La compagnia, ovviamente, respingeva le richieste, sostenendo l’inoperatività della copertura assicurativa in quanto, quello di specie, rappresentava un evento al di fuori dei casi di effettiva circolazione stradale. E ricorreva per Cassazione allorquando la corte territoriale accoglieva le domande attoree avendo ritenuto, contrariamente, che sussistessero i presupposti per ricondurre l’evento (errata manovra del braccio di un autogru) alla circolazione dell’autocarro.

Dopo una un articolata argomentazione sul tema – che riportiamo integralmente di seguito – la Cassazione conclude che secondo un ampio concetto di circolazione stradale, indicato nell’articolo 2054 del Codice Civile è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. A condizioni che il mezzo si trovi su strada pubblica o ad essa equiparata.

2. Ciò premesso e risultando non più discutibili i termini della quaestio facti, la questione di diritto che si tratta di decidere è quella della definizione del concetto di circolazione ai fini dell’assicurazione obbligatoria di cui all’art. 1 della Legge 24 dicembre 1969, n. 990, applicabile nella specie ratione temporis. Più esattamente il problema, proposto con il motivo di ricorso, è se l’utilizzo. del braccio elevatore per l’operazione di carico, cui era addetto il veicolo al momento del sinistro, rientri o meno nel concetto di “circolazione”, quale inteso dall’art. 1 della L. 990/1969 in comb. disp. con l’art. 2054 cod. civ., inferendosene dalla risposta negativa al quesito l’inoperatività della garanzia assicurativa, affermata, invece, dai giudici del merito.

La terza sezione civile – pur dando atto che la giurisprudenza della stessa sezione ha da tempo preso le distanze dal remoto precedente (Cass. n. 5146 del 1997) cui dichiaratamente si ispira il motivo di ricorso, a tenore del quale l’attività di circolazione (in senso proprio e lato) va tenuta distinta dall’uso speciale del mezzo, da considerarsi estraneo alla circolazione stessa – ha avvertito l’esigenza di rimettere alle Sezioni Unite la questione dei limiti e delle condizioni di applicabilità del concetto di circolazione stradale tanto sotto il profilo statico/logistico quanto sotto quello operativo/funzionale, e dei limiti e delle condizioni di applicabilità del concetto in parola alla sosta di un veicolo sottoposto al regime dell’assicurazione obbligatoria, ritenendola, per certi aspetti, tuttora oggetto di contrasto (e, comunque, rientrante nel novero delle questioni di massima di particolare importanza).

Più esattamente l’esigenza di chiarificazione, come avvertita dall’ordinanza di rimessione, non attiene all’apparente contrapposizione tra lo stato di movimento e quello di quiete del veicolo (o di uno dei veicoli coinvolti nel sinistro) – riconoscendosi ormai per acquisito che nel concetto di circolazione vada ricompresa anche la ed. circolazione statica – ma riguarda, piuttosto, l’aspetto operativo/funzionale, essendosi evidenziata l’adozione di soluzioni non sempre omogenee con riferimento ad alcune ipotesi peculiari di sosta, segnatamente allorquando il veicolo sta svolgendo specifiche operazioni funzionali alle caratteristiche strutturali proprie del mezzo.

Al riguardo l’ordinanza di rimessione individua due orientamenti: un primo orientamento (per il quale richiama specificamente: Cass. 6 febbraio 2004, n. 2302; Cass. 5 agosto 2004, n.14998; Cass.31 marzo 2008, n.8305; Cass. 9 gennaio 2009, n. 316) che, dall’equiparazione del rischio statico a quello dinamico, evince il presupposto dell’operatività dell’obbligo assicurativo nel trovarsi il veicolo su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in una condizione che sia riconducibile ad un momento della circolazione, ivi compresa anche la sosta (non avendo dignità di presupposto ulteriore la correlazione dell’uso del veicolo, secondo le potenzialità sue proprie, con le varie modalità con cui può atteggiarsi la circolazione); un secondo orientamento, che, pur ridimensionando e correggendo il principio espresso dalla già cit. sentenza 9 giugno 1997, n.5146, ritiene rilevanti le particolari funzioni esplicate dal veicolo al momento dell’evento, in quanto suscettibili di costituire causa autonoma, idonea a interrompere il nesso causale con la circolazione (come ritenuto di recente da: Cass. 5 marzo 2013, n. 5398).

2.1. Una più ampia disamina del panorama giurisprudenziale in materia consente, innanzitutto, di dar atto che, con riferimento al profilo statico/logistico, le decisioni sono univoche nel ricomprendere nel concetto di circolazione stradale tanto lo stato di movimento, quanto la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada od area pubblica di pertinenza della stessa, con la precisazione che il concetto non può restringersi alla sola ipotesi in cui al posto di guida vi sia una persona che abbia l’effettiva disponibilità dei congegni meccanici atti a determinarne il movimento, atteso che comunque il conducente deve, finché il mezzo si trova nella strada, porre in essere tutti gli accorgimenti necessari ad evitare danni a terzi, segnatamente quando si allontani lasciando il veicolo in sosta (così Cass. 24 luglio 1987, n. 6445). In particolare – sul presupposto della necessità di controllo da parte del conducente sul veicolo in sosta su uno spazio compreso nelle aree di circolazione, pubbliche o ad essa equiparate – si è ritenuta afferente alla circolazione (e coperto il relativo danno da garanzia assicurativa) la movimentazione degli sportelli (chiusura, apertura, abbassamento) a veicolo fermo e, più in generale, qualsiasi attività prodromica alla messa in marcia e alla circolazione (cfr. ex multisi Cass. 05 luglio 2004, n. 12284; Cass. 27 aprile 2005, n. 18618, riguardo, oltre la già cit. Cass. n. 6445 del 1987), affermandosi la presunzione di responsabilità del proprietario e del conducente ex art. 2054 cod. civ., eventualmente in solido con il terzo trasportato, responsabile ex art. 2043 cod. civ. per l’imprudente apertura dello sportello (cfr. Cass. 06 giugno 2002, n.8216).

Merita puntualizzare sin da adesso che il filo logico costante in tutte queste decisioni è, nella sostanza, quello espresso già dalla più remota di esse (Cass. n. 6445/1987 cit.), con cui si avvertiva che il pur rigoroso criterio trovava giustificazione nella considerazione che la guida di un veicolo comporta l’utilizzozzazione di un mezzo dotato di un certo grado di pericolosità, correlativamente imponendo al conducente un completo controllo del mezzo stesso anche nelle fasi di arresto o sosta. In tale prospettiva il fatto colposo del terzo trasportato non costituisce causa interruttiva del nesso causale tra l’evento e “la circolazione stradale”, bensì concorre ex art. 2055 cod. civ. con la responsabilità presunta del proprietario e del conducente.

2.2. Sulla medesima lunghezza d’onda, ancorché riferibili ad ipotesi nelle quali il veicolo, in posizione di quiete, può essere fuori del (possibile) controllo del conducente, trovandosi anzi esposto alla pubblica fede, si pongono altre pronunce in cui il collegamento con la circolazione stradale viene rinvenuto nel solo fatto delPingombro” da parte del veicolo di uno spazio a ciò adibito.

Così, all’originario orientamento secondo cui l’incendio propagatosi da un veicolo in sosta costituiva evento estraneo al rischio coperto dalla R.C.A., a meno che non venisse individuato “un particolare e specifico nesso eziologico con un determinato avvenimento attinente alla circolazione” (così, Cass. 18 aprile 2000, n. 5032; Cass., 20 novembre 2003, n. 17626, non massimata) – quali potevano essere, ad es. determinate modalità di sosta contrastanti con le regole del codice della strada o le regole di ordinaria prudenza e diligenza, interferenti con la circolazione, richiedendosi che l’incendio derivasse dal “normale utilizzo. funzionale del veicolo assicurato” (così Cass. n. 5146/1997 richiamata dalla ricorrente) oppure da una precedente collisione (così Cass. 06 giugno 1998, n. 4575) – ha fatto seguito un radicale cambiamento di prospettiva, ritenendosi, tout court, sbagliata la tesi, secondo cui perché ricorra la speciale responsabilità da circolazione stradale (e la correlativa garanzia assicurativa) è necessario che il danno prodotto dal veicolo in sosta sia riconducibile ad un fatto di circolazione pregresso o in atto; e ciò perché la tesi non tiene conto che la sosta è essa stessa circolazione, la quale comprende in sé il complesso delle situazioni dinamiche e statiche in cui è posto il veicolo sulla pubblica via (così Cass. 06 febbraio 2004, n. 2302).

In particolare si è evidenziato che l’art. 2054, ult. comma cod. civ., non consente al proprietario (ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui il conducente) di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (fatta di movimento e di sosta) per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, in assenza dei quali, ove difetti un apporto causale esterno, non è dato ipotizzare che un veicolo a motore prenda spontaneamente fuoco dopo essere stato arrestato. Secondo tale orientamento (allo stato nettamente maggioritario), che valorizza il dato della permanenza del veicolo sulle vie pubbliche o aree ad esse equiparate, la garanzia assicurativa non è operante solo quando venga meno il collegamento causale con la circolazione, per l’intervento di una causa autonoma sopravvenuta (ivi compreso il fortuito) di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso (così Cass. n. 3108 del 2010 già cit.) e, segnatamente, il fatto doloso del terzo; e ciò in quanto la condotta del terzo di doloso appiccamento del fuoco ad autovettura regolarmente parcheggiata su area pubblica o ad essa equiparata, e pertanto per consuetudine esposta alla pubblica fede, si appalesa imprevedibile ed inevitabile (cfr. Cass., 17 gennaio 2008, n. 858).

In altra ipotesi di danno da incendio in sosta si è, invece, ritenuto (Cass. n. 5398 del 2013 già cit. nell’ordinanza) che il nesso causale con la circolazione doveva ritenersi interrotto in ragione dell’imperizia dell’autista di un’autocisterna, che riforniva gas presso un’abitazione privata, il quale, con un’errata manovra dell’erogatore del materiale infiammabile, aveva causato il diffondersi di un incendio.

2.3. Il principio affermato alla decisione da ultimo citata, che – sia pure attraverso un articolato percorso argomentativo che mostra di recepire il concetto “ampio” di circolazione consolidatosi nella giurisprudenza – giunge, in definitiva, a conclusioni consonanti con la più remota Cass. n. 5146 del 1997 richiamata dall’odierna ricorrente, evidenzia come permanga un orientamento esegetico che finisce per privilegiare l’aspetto dinamico della circolazione, in specie con riguardo a eventi dannosi prodottisi durante l’impiego di veicoli con dotazioni speciali, operanti in stato di sosta ed utilizzozzati per le finalità cui erano destinati.

Si colloca, invece, appieno nel panorama giurisprudenziale che pone l’accento sul rapporto tra il veicolo presente nello spazio destinato alla circolazione e l’evento dannoso, marginalizzando l’incidenza delle funzioni svolte dal veicolo stesso, altra recente decisione della sezione terza (sentenza 09 gennaio 2009, n. 316), che, in una fattispecie similare a quella per cui è causa, ha affermato il principio, secondo cui che l’art. 1 della L. n. 990 del 1969 stabilisce, quale presupposto dell’operatività dell’obbligo assicurativo e della conseguente copertura, il trovarsi del veicolo su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in una condizione che sia riconducibile ad un momento della circolazione, ivi compresa anche la sosta, non riconoscendosi dignità di presupposto ulteriore alla correlazione dell’uso del veicolo, secondo le potenzialità sue proprie, con le varie modalità con cui può atteggiarsi la circolazione.

  1. Questo, in estrema sintesi, il panorama giurisprudenziale rilevante nella soluzione della questione, l’esame deve necessariamente muovere dall’esegesi della norma di cui all’art. 2054 cod. civ.. Invero l’art. 1, per la delimitazione dell’ambito di applicazione della R.C.A., e l’art. 18, per l’esercizio dell’azione diretta, della legge n. 990 del 1969, qui applicabili ratione temporis (e, oggi, rispettivamente, l’art. 122, e l’art. 144 del D.Lgs. n. 209 del 2005) contengono l’uno un espresso richiamo e l’altro un consequenziale riferimento (per la tutela diretta del terzo) alla figura del fatto illecito da circolazione di cui all’art. 2054 del codice civile, che descrive la responsabilità del conducente e le altre responsabilità solidali derivanti dalla circolazione dei veicoli. I soggetti assicurati sono, dunque, quelli di cui all’art. 2054 cod. civ. (e cioè il conducente, il proprietario, o in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio) e, per effetto dell’art. 91 comma 2 del D.Lgs. n. 285 del 1992, codice della strada, il locatario in leasing, così come l’oggetto dell’assicurazione, che è assicurazione contro la responsabilità civile prevista dalla stessa norma (sugli schemi dell’assicurazione ex art. 1917 cod. civ.), con una precisazione, emergente proprio dal tenore delle norme richiamate; e cioè che, per un verso, l’ambito applicativo dell’obbligo di assicurazione è più ristretto rispetto a quello dell’art. 2054 cod. civ., riguardando la responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli «a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi (…) posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate» e, per altro verso, l’azione diretta accordata a terzi è espressione di esigenze di tutela più ampie di quelle della mera garanzia del patrimonio dell’assicurato, propria dell’assicurazione ex art. 1917 cod. civ., con conseguente prefigurazione di uno strumento sostanziale e processuale di risarcimento del terzo danneggiato ispirato al fondamentale principi di solidarietà sociale.

Merita a tal riguardo precisare che il motivo di ricorso denuncia la violazione del concetto di “circolazione”, inteso come tale, e non già quanto al termine di riferimento spaziale previsto per l’assicurazione obbligatoria (e, cioè, l’essere il veicolo in circolazione su «strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate»), che non è qui in discussione e che è costantemente individuato, secondo consolidata giurisprudenza, oltre che nelle strade di uso pubblico, in quelle aree che, ancorché di proprietà privata, siano aperte ad un numero indeterminato di persone e alle quali sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari di diritti su di essa, non venendo meno l’indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano tutti ad una o più categorie specifiche e quando l’accesso avvenga per particolari finalità ed in particolari condizioni (cfr. Cass. 03 aprile 2013, n. 8090; Cass. 23 luglio 2009, n. 17279; Cass. 06 giugno 2006, n. 13254; Cass. 27 ottobre 2005, n. 20911).

Per altro verso si precisa che è convincimento di queste Sezioni Unite che l’ordinanza di rimessione, ancorché determinata da una peculiare ipotesi di utilizzo. di un veicolo costituente macchina operatrice, solleciti una “messa a punto” del concetto di circolazione con riguardo al regime di assicurazione obbligatoria in una prospettiva generale che ne colga tutti gli aspetti, in relazione alla natura di “massima importanza” ascritta alla questione.

3.1. Ciò premesso, va, innanzitutto, rilevato che la nozione tecnico giuridica di circolazione stradale, quale assunta dall’art. 2054 cod. civ. (e, perciò, rilevante ai fini dell’operatività della garanzia assicurativa) ha una connotazione diversa e più ampia rispetto a quella che il termine “circolazione” assume nel linguaggio comune, sostanzialmente evocante l’idea dello spostamento o movimento, dovendo il concetto di “circolazione stradale”, al di là dell’apparente incongruità lessicale, comprendere anche la “circolazione statica”, e, cioè, anche i momenti di quiete dei veicoli, siccome costituenti un’utilizzozzazione della strada al pari del transito.

Tanto risulta expressis verbis dal Codice della Strada, e segnatamente dalla definizione contenuta sub n.9 dell’art. 3 (a tenore del quale si intende per circolazione «il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada»), nonché nell’art. 157 lett. c> (secondo cui « per sosta si intende la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente») e trova indiretta conferma dalla considerazione nel principio informatore dello stesso Codice sub art. 140 («Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale»), giacché anche la situazione statica di ingombro da parte del veicolo della sede stradale interferisce con la circolazione.

Ma anche al di là del riferimento alle norme del Cd. S. (che pure appare corretto, avuto riguardo all’origine storica dell’art. 2054 cod. civ., che è una trasposizione di una norma del Codice della strada del 1933), è la stessa ratio legis della norma cit. che suggerisce una nozione “ampia” di circolazione stradale.

Valga considerare che l’art. 2054 cod. civ. accorpa quattro ipotesi di responsabilità, apparentemente eterogenee, assunte sotto l’unica nozione di «circolazione dei veicoli», posto che: il primo comma dell’art. 2054 prevede un obbligo di prevenzione “unilaterale” (in una situazione, definita dalla dottrina di “unilateralità del rischio da circolazione”), facendo carico al conducente, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per i danni arrecati a persone o a cose «dalla circolazione del veicolo», di provare di «aver fatto tutto il possibile per evitare il danno», intendendosi per tale, non già l’impossibilità o la diligenza massima, bensì l’avere osservato, nei limiti della normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. 29 aprile 2006, n. 10031); il secondo comma postula una situazione di rischio “comune” da circolazione stradale, qual è quella del «caso di scontro tra veicoli», presumendo che ognuno dei conducenti «abbia ugualmente concorso a produrre il danno» salvo prova liberatoria (e, cioè, di aver fatto «tutto il possibile per evitare il danno»); il terzo comma estende il rischio da circolazione, come prefigurato dai due commi precedenti, al proprietario (e ai soggetti ad esso equiparati), presumendone la responsabilità solidale per il fatto del conducente, sul presupposto dell’incauto affidamento, allorché «non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà», e cioè non dimostra di avere tenuto un concreto ed idoneo comportamento ostativo, specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo ed estrinsecatosi in atti e fatti rivelatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (cfr. Cass. 07 luglio 2006, n. 15521); infine l’ultimo comma prevede «in ogni caso» la responsabilità di tutte le persone sopra indicate per i danni derivanti da «vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo», con la conseguenza che esse sono esonerate da responsabilità solo ove risulti dimostrata l’interruzione del nesso causale tra l’evento e la circolazione del veicolo, attraverso la prova dell’esistenza del caso fortuito ovvero dell’inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione (cfr. Cass. 21 maggio 2014, n. 11270).

Se si cerca allora il “filo” che collega, sotto l’unica rubrica di «circolazione di veicoli», tutte queste ipotesi di responsabilità presunta e, nel caso dell’ultimo comma, di responsabilità oggettiva (cfr. Cass. 06 agosto 2004, n. 15179; Cass. 09 marzo 2004, n. 4754), questo va individuato nella pericolosità dei due elementi caratterizzanti tutte le ridette ipotesi e, cioè, vuoi della circolazione, vuoi del veicolo – non già singolarmente intesi, ma nella loro interazione – per la considerazione della prevedibilità del danno che ne può derivare a persone e cose.

3.2. La disciplina dell’art. 2054 cod. civ. costituisce, invero, un’applicazione della regola generale posta dal precedente art. 2050 cod. civ., nel senso che la circolazione dei veicoli è stata considerata dal legislatore un caso particolare di attività pericolosa, come risulta espressamente affermato nella Relazione ministeriale al codice civile, laddove, nello spiegare il trattamento dettato per le attività pericolose (art. 2050 cod. civ.), si afferma che «H principio consacrato nell’art. 120 del testo unico delle disposizioni per la tutela delle strade e per la circolazione 8 dicembre 1933, n. 1740, riprodotto nell’art. 2054 ce, è stato esteso a tutte le attività che possono creare pericolo per i terzi» (sub n. 795) e, successivamente, nell’illustrare l’art. 2054 cod. civ. (sub n. 796) si ribadisce che: «dettata nell’art. 2050 ce. la regola generale sopra esposta, di essa si fa applicazione nell’art. 2054 ce, ove si regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli, già disciplinata nell’art. 120 del codice della strada» .

In sostanza l’art. 120 del Codice della Strada del 1933 è stato sostanzialmente trasposto nell’art. 2054 cod. civ. (con alcune precisazioni che la pratica aveva indotto a ritenere necessarie) e nel contempo se ne è ricavata una norma generale (l’art. 2050 cod. civ.), con la conseguenza che la circolazione dei veicoli concreta una species rispetto al genus delle attività pericolose, come è confermato dall’identità della prova liberatoria per il superamento della presunzione di responsabilità, prevista rispettivamente dall’art. 2050 cod. civ. (che richiede la dimostrazione di «avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno») e dall’art. 2054 comma 1, cod. civ. (che prevede la dimostrazione che il conducente ha fatto «tutto il possibile per evitare il danno»).

3.3. Appare opportuno precisare – ancorché la questione esorbiti dalla fattispecie all’esame – che anche la responsabilità del proprietario (e soggetti equiparati) di cui ai commi 3 e 4 è espressione del rischio insito nella circolazione dei veicoli ed è correlata al principio cuius commoda eius et incommoda, con una sostanziale differenza; e ciò in quanto, nell’ipotesi di cui al comma 3, che è di responsabilità per colpa (presunta), la prova liberatoria consisterà nella dimostrazione da parte del proprietario dell’assolvimento dell’obbligo comportamentale imposto al conducente dai commi precedenti (di aver fatto «tutto il possibile per evitare il danno») ovvero nella prova che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà, mentre, nell’ipotesi di cui al comma 4, che è di responsabilità oggettiva, occorrerà la prova, da parte di tutti i soggetti di cui ai commi precedenti, dell’interruzione del collegamento causale dell’evento con un vizio di costruzione o di manutenzione (id est con la circolazione del veicolo), attraverso la dimostrazione di un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, abbia determinato il verificarsi del danno, nel qual caso, unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto.

E’ evidente, poi, che è proprio la peculiarità della fattispecie di responsabilità prevista «in ogni caso» dall’ult. comma dell’art. 2054 cod. civ. a spiegare perché, nel caso (cfr. sub 2.3.) di veicolo che si trovi al di fuori del possibile controllo del conducente (qual è quello del veicolo regolarmente parcheggiato sulla pubblica via) non sia consentito al proprietario (ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui il conducente) di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (fatta, per quanto innanzi detto, di movimento e di sosta) per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, ove sia mancata la dimostrazione di un apporto causale esterno (il caso fortuito, ivi incluso il fatto doloso del terzo) in assenza del quale, per il vero, non è dato ipotizzare altro che un guasto tecnico. Mentre con riferimento ad operazioni di movimentazioni degli sportelli del veicolo, come pure ogni altra operazione preparatoria alla circolazione (cfr. sub 2.2.), ancorché ascrivibili a colpa di un terzo trasportato, la responsabilità di quest’ultimo ex art. 2043 cod. civ. può concorrere (ai sensi dell’art. 2055 cod. civ.) con la responsabilità prevista dai primi tre commi dell’art. 2054 cod. civ. a carico del conducente e del proprietario – senza che ciò trasformi, come paventato da certa dottrina, il danno da “circolazione stradale dei veicoli” in danno “da veicolo in circolazione” – posto che in tal caso viene in rilievo lo standard comportamentale previsto dal comma 1 della stessa norma che impone al conducente di fare tutto il possibile per evitare il danno, mantenendo il controllo del mezzo in ragione della prevedibilità del pericolo.

3.4. Merita puntualizzare, quanto all’altro fattore qualificante dell’ipotesi di responsabilità che qui rileva – e, cioè al concetto di “veicolo” – che, mentre ai sensi dell’art. 2054 cod. civ. deve intendersi per veicolo ogni strumento idoneo a trasportare persone o cose circolando senza guida di rotaie, sia esso a trazione meccanica, animale o umana (cfr. art. 20 e seg. D.P.R. n. 393 del 1959 e art. 46 e seg. attuale C.d.S.), ai fini dell’operatività della garanzia assicurativa obbligatoria da R.C.A. (art. 1 L n. 990/1969 e, oggi, art. 122 D.Lgs. n.299/2005), è importante che si tratti di un veicolo dotato di motore, anche se, al momento, non funzionante od occasionalmente spinto.

In sostanza deve trattarsi di un mezzo meccanico idoneo a circolare senza guida di rotaie (non importa se montato su pneumatici o su cingoli), ancorché si tratti di un veicolo che per le sue peculiari caratteristiche strutturali e funzionali sia destinato ad avere un accesso limitato alle strade pubbliche o alle aree equiparate. E nella categoria rientrano – come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. oltre Cass. n. 316 del 2009 sopra cit., anche: Cass. n. 15521 del 2006 e Cass. n. 1378 del 1980) – anche le macchine operatrici, qual è quella che qui rileva, descritte nell’art. 58 C.d.S. (attuale) e idonee a circolare per strada ai sensi dell’art. 114 dello stesso Codice (cfr. art. 30 “vecchio” C.d.S. qui applicabile).

Solo i mezzi stabilmente impossibilitati a muoversi (come può essere un veicolo ormai privo di ruote e ridotto a un rottame ovvero anche una macchina operatrice che sia fissata su un basamento) non assurgono – o non assurgono più – al concetto di “veicolo”, con conseguente inoperatività della garanzia diretta del terzo danneggiato.

Lo stesso dicasi quando il veicolo venga utilizzozzato, non già in modo conforme allo scopo per cui esso è stato costruito, bensì come mero oggetto in modo avulso dalla sua naturale funzionalità, ancorché una situazione di circolazione abbia occasionato la commissione del fatto dannoso. Così nell’esempio, fatto dalla dottrina, del danno da esplosione di bomba posizionata all’interno di un’autovettura, appare evidente che non è ipotizzabile un danno derivante da “circolazione di veicoli”, degradando il “fatto” della circolazione a mera occasione; e ciò proprio per la condizione del mezzo, per così dire di “non veicolazione” ai sensi del Codice della strada (così: Cass. pen. 27 ottobre 2009, n. 44165 in motivazione) e, anzi, l’impiego dello stesso come mero contenitore o come oggetto materiale in sé che prescinde dall’essere lo stesso anche un mezzo veicolare.

  1. Chiudendo le fila del discorso, le Sezioni Unite ritengono di poter trarre le seguenti conclusioni, sulla scorta dell’inquadramento della responsabilità di cui all’art. 2054 cod. civ., come una sottospecie dell’art. 2050 cod. civ. e della correlativa individuazione della ratio legis, nella pericolosità della circolazione dei veicoli.

4.1. Innanzitutto va confermato il principio sopra richiamato – peraltro già affermato da queste Sezioni Unite, sia pure con riferimento ad una questione attinente alla sospensione della patente di guida ai sensi dell’art. 223 C.d.S. (sentenza 06 giugno 2007, n. 13226) – e, cioè, che ai fini della responsabilità ex art. 2054 cod. civ., rientra nell’ampio concetto di circolazione, in cui deve dunque ritenersi compresa, anche la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada o area pubblica di pertinenza della stessa.

Invero il termine “circolazione stradale” non si limita ad esprimere un concetto dinamico, bensì rappresenta un concetto ampio che include, oltre al movimento, anche la sosta, la fermata e l’arresto dei veicoli, quali episodi insiti nella complessità del fenomeno. In particolare l’inclusione della ed. “circolazione statica” nell’ambito dell’art. 2054 cod. civ. (e di rimando nella garanzia assicurativa obbligatoria) – prima ancora che dalle richiamate disposizioni del C.d.S. – si evince dalla stessa ratio legis, individuata nella pericolosità della circolazione stradale, giacché anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli o di persone, in quanto i veicoli, seppur fermi, ostacolano o alterano il movimento degli altri veicoli, ingombrando necessariamente la sede stradale (cfr. Corte cost., 2-14 aprile 1969, n. 82), con la conseguenza che anche in tali contingenze non possono il conducente e il proprietario ritenersi esonerati dall’obbligo di assicurare l’incolumità dei terzi.

E tanto vale anche per i danni verificatisi quando il veicolo trovasi al di fuori del possibile controllo del conducente, con il limite di quelli derivanti da causa autonoma sopravvenuta (quale il dolo del terzo) di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso. Postulare (come in alcune delle decisioni richiamate sub 2.2.) l’esigenza di un necessario collegamento tra il danno verificatosi durante la sosta (o la fermata) del veicolo e la circolazione (nel senso che l’evento debba necessariamente collegarsi alla precedente circolazione/movimentazione del veicolo o, almeno, essere riferito a determinate modalità di sosta, in ipotesi contrastanti col disposto dell’art. 157 C.d.S. ovvero con le regole di ordinaria prudenza e diligenza, interferenti con la circolazione) significa, da un lato, accedere ad un’erronea concezione di “circolazione”, giacché anche la sosta, per quanto sin qui detto, è circolazione e, dall’altro, trascurare che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2054 cod. civ., anche il rischio del guasto tecnico è un rischio da circolazione del veicolo.

Deriva da ciò che anche la responsabilità per danni da vizio di costruzione o difetto di manutenzione del veicolo prevista dall’art. 2054 ult. comma cod. civ., allorquando attiene ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione – ivi compresa la sosta – sulle pubbliche vie o aree equiparate costituisce oggetto dell’assicurazione obbligatoria ai sensi della legge n. 990 del 1969, art. 1 (e attualmente del D. Lgs. n. 299 del 2005, art. 122 che si riporta a tutte le fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2054 cod. civ.), con la conseguenza, ad esempio, che, dei danni derivati a terzi dall’incendio propagatosi da un veicolo in sosta, risponde anche l’assicuratore, indipendentemente dal lasso di tempo intercorso tra l’inizio della sosta e l’insorgere dell’incendio (cfr. ex plurimis, oltre alla già cit. Cass. n. 2302 del 2004; Cass. 05 agosto 2004, n. 14998; Cass., 11 febbraio 2010, n. 3108; Cass. 29 settembre 2011, n. 19883; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2092).

4.2. Sotto l’aspetto operativo/funzionale va, poi, ribadito che le operazioni di carico o scarico del veicolo sono in funzione del suo avvio nel flusso della circolazione, così come qualsiasi atto di movimentazione di esso o delle sue parti (quale apertura, chiusura sportelli ecc), con la conseguenza che, quando avvengano sulla pubblica via, danno luogo all’applicabilità della normativa sull’assicurazione per la R.C.A. (cfr. Cass. 22 maggio 2008, n. 13239 in motivazione). Anche in tali situazioni il veicolo si trova in una situazione riconducibile al concetto di circolazione e il conducente deve essere costantemente in grado di intervenire per evitare danni o pericolo di danni, oppure deve porre in essere accorgimenti tali da escludere, nei limiti del prevedibile, la possibilità che tali eventi si verifichino.

Venendo, quindi, al punto nodale della questione proposta merita sottolineare che la pericolosità di un veicolo non si relaziona solo con gli eventi tipici della circolazione (marcia, sostanza, partenza ecc), ma è correlato all’insieme delle specificità che lo caratterizzano e che, nella loro globalità – comprensiva, cioè, anche di speciali operazioni che ne caratterizzano la funzione – interferiscono con la presenza di cose e pedoni, allorché vengano poste in essere nelle aree destinate alla circolazione.

Orbene – come è stato correttamente evidenziato con la sentenza n. 316 del 2009, sopra cit. – la norma dell’art. 1 L. n. 990 del 1969 (al pari dell’art. 122 del D.Lgs. n. 209 del 2005), nell’individuare l’oggetto dell’assicurazione per la R.C.A., si esprime nel senso di correlare l’obbligo assicurativo all’essere stato il veicolo posto in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a questa equiparate, ma non prevede come presupposto per l’obbligo assicurativo e, quindi, per l’operare della relativa garanzia, che il veicolo sia utilizzozzato in un certo modo piuttosto che in un altro.

Valga, altresì, considerare che l’art. 2054 cod. civ., pur costituendo la trasposizione di una norma del C.d.S. del 1933, non fa specifico riferimento alle norme sulla circolazione stradale, ma impone uno standard comportamentale che è suscettibile di essere riferito a qualsiasi utilizzotas traibile dal veicolo in conformità alle sue caratteristiche strutturali e funzionali. Il che non vuol dire ancorare l’operatività della garanzia assicurativa alla mera occasione dell’allocazione del veicolo sulla strada pubblica o su area ad essa parificata; quanto piuttosto valorizzare proprio quella interazione tra veicolo e circolazione che è il fondamento della particolare ipotesi di responsabilità “da attività pericolosa” che è quella di cui all’art. 2054 cod. civ.. E poiché il “veicolo” deve essere considerato, in tutte le sue componenti e con tutte le caratteristiche, strutturali e funzionali, che, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, ne consentono l’individuazione come tale ai sensi del C.d.S., “l’uso” che di esso si compia su aree destinate alla circolazione – semprechè sia quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo può avere – costituisce “circolazione del veicolo” stesso ai sensi dell’art. 2054 cod. civ.. Ne consegue che la copertura assicurativa deve riguardare tutte le attività cui il veicolo è destinato e per cui lo stesso circola su strada di uso pubblico o su area equiparata.

Erra, dunque, la ricorrente quando distingue le operazioni di carico e scarico effettuate con “il braccio della gru” dalla circolazione del veicolo “autogrù”, pretendendo di escludere le prime dal concetto di “circolazione stradale”. Invero la macchina operatrice costituisce “un veicolo” ai sensi del C.d.S., con peculiari caratteristiche strutturali e funzionali che lo rendono idoneo sia ad effettuare determinate operazioni, sia a circolare per strada; anzi, proprio in considerazione delle specifiche operazioni alle quali è funzionale e per le quali è dotato di particolari attrezzature, oltre che al suo trasferimento, essa è autorizzata alla circolazione nelle strade, oltre che nei cantieri (cfr. art. 58 C.d.S.). Ecco perchè a integrare il presupposto di operatività della copertura assicurativa è sufficiente che essa si trovi in sosta su una strada di uso pubblico o su un’area ad essa equiparata, restando indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice.

In definitiva va affermato il principio secondo cui nell’ampio concetto di circolazione stradale indicato nell’articolo 2054 cod. civ. è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. Ne consegue che per l’operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l’uso che in concreto si faccia del veicolo, sempreché che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere.

Il motivo di ricorso va, dunque, rigettato, perché ricorrono, nella specie, tutti i presupposti per l’operatività della garanzia assicurativa, atteso che: è pacifico che l’autogrù, al momento del sinistro, si trovava in una strada pubblica o almeno in un’area equiparata; che l’uso che si faceva della stessa (sollevamento del cassone, con il braccio meccanico) corrispondeva all’utilizzo proprio del veicolo in oggetto; che è stata accertata una responsabilità (prevalente) del proprietario/conducente per un’errata manovra del braccio meccanico.”