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Infortuni estivi: per la caduta a bordo piscina non è possibile invocare la responsabilità del gestore.

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?????????????A concludere in questo senso sono gli ermellini di Piazza Cavour con la sentenza nr 9009 del 6 maggio 2015 della III Sezione Civile con la quale accolgono le motivazioni del Ministero dell’Interno del Fondo di Assistenza del Personale della Polizia di Stato. Avevano ricorso per Cassazione infatti avverso la pronuncia della Corte di Appello di Roma che aveva riformato la sentenza dei giudici capitolini di prime cure, accogliendo le richieste risarcitorie di un agente di polizia scivolato a bordo piscina di un centro sportivo della Polizia di Stato.

Ma, la presenza di liquido a bordo di una piscina è un evento “normale” e il rischio di caduta va considerato dagli avventori e prevenuto con una maggiore prudenza. Nessuna responsabilità in capo al gestore dell’impianto può essere pertanto imputata ne ex art. 2051 ne ex art. 2043 codice civile.

Ecco le motivazioni dei togati:

Valga considerare che il rischio di scivolare sul bordo di una piscina, trattandosi di una superficie normalmente bagnata proprio a ragione dell’attività che vi si svolge, va doverosamente calcolato ed evitato (ad es. utilizzando calzature adeguate e comunque adeguandosi alla massima prudenza), non potendosi poi invocare, una volta che una caduta dannosa si è verificata, come fonte di responsabilità l’esistenza di una situazione di pericolo che rientra nel rischio generico proprio dei luoghi, evitabile in base a una condotta normalmente diligente.
Va, altresì, considerato che, allorquando venga invocata, come nel caso specifico, la regola generale dettata dall’art. 2043 cod. civ., grava sul danneggiato l’onere della prova di un’anomalia dello stato dei luoghi, se non necessariamente integrante gli estremi della c.d. insidia o trabocchetto, comunque, idonea a prefigurare una condotta colposa (o dolosa) della parte convenuta, fornendo, quindi, almeno implicitamente la prova dell’elemento soggettivo ex art. 2043 cod. civ., comunque necessaria.
Inoltre tanto in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 cod. civ., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 cod. civ., quale quella che risulta evocata nel caso specifico, il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste anche quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.) e a maggior ragione ove si inquadri la fattispecie del danno nella previsione di cui all’art. 2043 cod. civ..
In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.”