- La strada non è una pista
- De iure condito
Il mancato rispetto del Codice della Strada non costituisce responsabilità
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“L’inosservanza di una norma di circolazione stradale, pur comportando responsabilità sotto altro titolo per l’infrazione commessa, non è di per sé sufficiente a determinare la responsabilità civile per l’evento dannoso, ove questo non sia ricollegabile eziologicamente alla trasgressione medesima.”
Questa è la massima della sentenza della Corte di Cassazione III sezione civile del 22 novembre 2013 nr 26239. Il concetto che se ne ricava poteva sembrare ovvio e scontato (a mio modo di vedere) ma evidentemente così non è se si è arrivati in Cassazione per confermarlo. La testardaggine a voler asserire il contrario appartiene ai genitori di una minore danneggiata trasportata su di un ciclomotore condotto da un’altra minore. Nell’occasione il mezzo si è scontrato con un’altra vettura. Questi hanno richiesto il risarcimento alla conducente del ciclomotore limitandosi ad allegare solo il mancato rispetto del Codice della Strada per il trasporto del passeggero sul ciclomotore. Che evidentemente, come confermerà la corte d’Appello sarebbe stato motivo di rifiuto al risarcimento anche per la trasportata stessa che in egual misura aveva violato lo stesso principio del codice della strada, accettando un trasporto illecito.
Ma il no della Corte d’Appello non è stato sufficiente a frenare l’animo di rivalsa di danneggiati e patrocinatori. Sicchè la Suprema Corte ha confermato con la sentenza, di cui ripropongo l’integrale testo, un principio già espresso nel 1995 con la sentenza nr 699.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 22 NOVEMBRE 2013, N. 26239
Svolgimento del processo
Nell’incidente occorso tra la vettura guidata dal L. (di sua proprietà ed assicurata presso la Norditalia Ass.ni spa) ed il ciclomotore guidato dalla Z. subì lesioni alla persona la C. , trasportata sul ciclomotore. Il Tribunale di Teramo dichiarò improcedibile la domanda proposta dai genitori dell’infortunata contro il N. e la sua Compagnia, mentre dichiarò inammissibile la domanda dagli stessi proposta contro i genitori della Z. .
Per quanto ancora interessa, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato nel merito la prima sentenza, ritenendo: quanto al N. , che non sia provata la sua responsabilità, ossia che egli abbia violato il segnale semaforico posto all’incrocio dove avvenne l’incidente; quanto alla Z. , che non sia stato neppure allegato l’illecito a lei imputabile, essendosi limitati gli attori a dedurre il mancato rispetto del codice della strada per aver trasportato sul ciclomotore altra persona nonostante fosse vietato. Quanto a quest’ultimo profilo, i giudici d’appello hanno rilavato il difetto di efficienza causale tra la suddetta violazione ed il danno lamentato.
Propone ricorso per cassazione la C. attraverso sei motivi. Rispondono con controricorso la Carige Ass.ni spa ed i genitori della Z. (Z.L. e D.P.V. ), i quali ultimi propongono anche ricorso incidentale condizionato svolto in tre motivi. La C. risponde con controricorso al ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Il primo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c.) si rivolge verso i punti della sentenza in cui s’afferma che la vittima ha dedotto a fondamento della responsabilità del L. la disposizione dell’art. 2043 c.c. e che la stessa non ha neppure allegato quale sia l’illecito imputabile alla Z. . La ricorrente contesta l’esatta interpretazione della domanda e propende per un’interpretazione che riconduca il giudizio nell’ambito della disposizione dell’art. 2054 c.c..
Il secondo motivo (violazione artt. 2043, 2054, 1223, 2056, 2697 c.c.) sostiene che, inquadrata la responsabilità nell’area d’applicazione della disposizione di cui all’art. 2054 c.c., avrebbe dovuto essere il conducente a fornire la prova del proprio esonero da responsabilità.
Il terzo motivo censura il vizio della motivazione in relazione alle testimonianze assunte ed alla valutazione che ne ha fatto il giudice nell’escludere (in ragione della contraddittorietà delle testimonianze stesse) la responsabilità del L. nell’attraversamento dell’incrocio con il segnale semaforico rosso.
Il quarto motivo censura il vizio della motivazione della sentenza nel punto in cui afferma il difetto causale tra la violazione della norma del codice della strada che proibisce il trasporto di altra persona sul ciclomotore e l’evento dannoso. Si sostiene che, invece, attraverso la lettura di due testimonianze il giudice avrebbe dovuto trarre il nesso causale tra il comportamento della conduttrice del ciclomotore ed il danno verificatosi.
Il quinto motivo censura la contraddittorietà tra i punti della sentenza in cui per un verso si ritiene sprovvista di prova la dedotta responsabilità del L. e, per altro verso, manchi la prova del nesso causale tra il comportamento della Z. e l’evento dannoso.
Il sesto motivo censura la violazione di legge nel punto della sentenza in cui s’afferma che la condotta della danneggiata, che ha disatteso il divieto di essere trasportata su un ciclomotore, costituisce l’antefatto e la concausa dell’evento.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Occorre in primo luogo osservare che lo sviluppo dei motivi costituisce frutto di una lettura del tutto personale degli atti di causa e della sentenza stessa, volutamente diretta a sovvertire gli stessi ambiti entro i quali s’è svolto il dibattito processuale e s’è risolta la pronunzia impugnata.
Innanzitutto, occorre osservare che l’interpretazione della domanda è compito esclusivo del giudice di merito, non censurabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato. L’errata interpretazione non si risolve, comunque, in un vizio del procedimento, quale è quello lamentato nel primo motivo. Più in particolare, in questo caso il giudice, lungi dall’interpretare la domanda, si limita ad enunciare che la responsabilità del L. (cfr. pag. 8 della sentenza) è dedotta dalla danneggiata nell’ambito della clausola generale della responsabilità aquiliana. Invano la ricorrente, trascrivendo alcuni brani della citazione, tenta di trasferire il dibattito nell’ambito normativo della disposizione dell’art. 2054 c.c.. Disposizione, questa, che istituisce una presunzione (fino a prova contraria) di corresponsabilità tra i conducenti dei veicoli venuti a scontrarsi, ma che non configura una responsabilità oggettiva dei conducenti per l’evento verificatosi. Nel senso che, nel caso in cui non si riesca a provare l’esclusiva responsabilità di uno solo dei conducenti o la sua maggiore responsabilità nella produzione del sinistro, la legge consente di presumere che ognuno di essi abbia ugualmente concorso alla produzione dell’evento.
Nella specie, invece, il giudice, per un verso, accerta che la contraddittorietà tra le testimonianze non consente di affermare che il conducente dell’autovettura abbia attraversato l’incrocio con il segnale semaforico rosso e, per altro verso, constata che la danneggiata non ha neppure dedotto quale sia il comportamento illecito addebitabile alla Z. .
Situazione, questa, che non può essere certamente ricondotta nella sfera d’applicazione della disposizione del secondo comma dell’art. 2054 c.c., la quale, come s’è visto, ha tutt’altra finalità.
Per il resto, non è ravvisabile alcun vizio nella motivazione resa dalla sentenza impugnata, la quale compie un’attenta valutazione delle testimonianze assunte, per concludere in ordine alla mancata prova della responsabilità del conducente dell’autovettura.
Quanto, poi, alla responsabilità della conducente del ciclomotore, la sentenza s’adegua al consolidato principio in ragione del quale l’inosservanza di una norma di circolazione stradale, pur comportando responsabilità sotto altro titolo per l’infrazione commessa, non è di per sé sufficiente a determinare la responsabilità civile per l’evento dannoso, ove questo non sia ricollegabile eziologicamente alla trasgressione medesima (tra le varie, cfr. Cass. 21 gennaio 1995, n. 699). Principio dal quale la sentenza deduce che la violazione della disposizione che vieta il trasporto di altre persone sul ciclomotore non è in diretto collegamento causale con l’evento prodottosi. Intendendo, così, dire che questa violazione non può consolidare la responsabilità della conducente del ciclomotore per il danno verificatosi a carico di colei che è stata illegittimamente trasportata.
Soltanto per corroborare iperbolicamente l’assunto, la sentenza spiega, poi, che l’argomento, se fosse valido, potrebbe essere ribaltato contro la vittima, nel senso che avendo violato anch’ella la stessa disposizione potrebbe essere considerata autrice del suo stesso danno. In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato. La ricorrente principale deve essere condannata a rivalere i controricorrenti delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore di ciascuna delle parti controricorrenti in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.