• De iure condito

Sospensione dei termini di prescrizione in ambito di assicurazione RC

15 minuti

I510705_193381905_clessidra-5004_H220444_Lnteressante pronuncia della Corte di Cassazione, la nr 18317 del 18 settembre 2015, che chiarisce i termini di prescrizione in ambito di assicurazione RC.

Chiariscono gli ermellini di Piazza Cavour che la richiesta danni, anche se priva della corretta indicazione del quantum richiesto a ristoro, inviata dal danneggiato al danneggiante e al di lui assicuratore civile produce gli effetti interruttivi del termine di prescrizione di cui all’art. 2952 IV comma, c.c. tra assicurato e assicuratore:
“questa comunicazione all’assicuratore di avvenuta richiesta di risarcimento del danno fosse nella specie idonea a sospendere il termine di prescrizione nel rapporto diretto tra assicurato ed assicuratore, ex art. 2952 4 co. c.c., “finché il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile, oppure il diritto del terzo danneggiato non sia prescritto”, discende dal principio (più volte affermato: Cass. n.4548 del 26.2.14; Cass.n.3042 del 28.2.12; Cass.n.17834 del 22.8.07; Cass.n.10598 del 2.8.01; Cass.n. 4426 del 17.5.97 ed altre), per cui l’effetto sospensivo della prescrizione in oggetto deve ritenersi raggiunto anche quando la comunicazione all’assicuratore della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato provenga non dall’assicurato, ma dal danneggiato medesimo, o finanche da un terzo. Né – contrariamente a quanto sostenuto dalla compagnia assicuratrice con richiamo a precedenti di legittimità non in termini con la presente fattispecie, in quanto relativi alla diversa ipotesi di interruzione della prescrizione: Cass. n.24733/07; 3371/10 – l’effetto sospensivo poteva qui negarsi in ragione del fatto che la richiesta risarcitoria avanzata dalla Cigna non recasse l’esatta determinazione del quantum richiesto.”

Di seguito il testo integrale della sentenza.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 maggio – 18 settembre 2015, n. 18317

Svolgimento del giudizio

Nell’ottobre 2001 C.M., in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore F.A. , conveniva in giudizio il Comune di Canicattì e l’Impresa Raggruppamento P.G. & C. sas, al fine di ottenerne la condanna in solido – ex artt. 2051 o 2043 cod. civ. – al risarcimento dei danni subiti dal figlio in occasione dell’incidente a quest’ultimo occorso il 18 dicembre ’96; allorquando il minore, all’epoca di otto anni, si era introdotto per gioco in un cantiere edile incustodito del Comune, riportando gravissime lesioni permanenti a seguito della caduta dal tetto dell’edificio in costruzione. Nella costituzione in giudizio dell’Impresa Raggruppamento P.G. sas e del Comune – il quale chiamava in causa, con domanda di manleva, la propria compagnia assicuratrice Generali S.p.A. – interveniva sentenza n. 71/03 con la quale il tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Canicattì, respingeva la domanda, assumendo che l’accaduto dovesse ricondursi esclusivamente al comportamento del minore danneggiato e dei familiari preposti alla sua vigilanza e protezione. Interposto appello dalla C. , veniva emessa sentenza n. 1484/11 con la quale la corte di appello di Palermo, in riforma della prima decisione: – affermava la responsabilità solidale ex art. 2051 cc del Comune di Canicattì e dell’impresa; – condannava i medesimi, tra loro in solido, al risarcimento dei danni (liquidati complessivamente in Euro 226.323,64 oltre accessori), con riconoscimento del concorso di colpa di parte attrice in ragione del 40%; – riteneva prescritta, ex articolo 2952, terzo comma, codice civile, la domanda di manleva proposta dal Comune contro la compagnia assicuratrice. Avverso questa sentenza viene dal Comune di Canicattì proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali resistono con controricorso F.A. e la Generali Assicurazioni spa; nessuna attività difensiva è stata in questa sede posta in essere da Impresa Raggruppamento P.G. & C. sas. Generali spa ha depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ..

Motivi della decisione

  • 1.1 Con il primo motivo di ricorso il Comune lamenta – ex art. 360, 1 co. nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – violazione di legge e carente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Per avere la corte di appello, in riforma della prima decisione, escluso nella specie il caso fortuito esimente da responsabilità ex articolo 2051 cod. civ., nonostante l’incidenza causale esclusiva svolta nell’incidente dal comportamento del bambino e dalla sua omessa protezione e vigilanza da parte dei genitori; sicché tutti gli elementi di colpa ravvisati dalla corte territoriale dovevano in realtà ascriversi a mere occasioni, non cause, dell’incidente stesso.
  • 1.2 La censura non può trovare accoglimento. Sul piano strettamente normativo, rileva come la responsabilità per danno da cosa in custodia ex articolo 2051 cod.civ. operi obiettivamente, salvo che venga provato, ad onere del custode, il caso fortuito. Ora, è vero che quest’ultimo può essere rappresentato anche dalla condotta di un terzo, ovvero dello stesso danneggiato; e tuttavia, per integrare l’esimente, tale condotta deve assumere un’efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Il che si verifica quando il fatto del terzo, o del danneggiato, si atteggi – sulla base di tutti gli elementi della fattispecie concreta – in termini di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità; così da risultare in definitiva idoneo a produrre da solo l’evento lesivo, cioè escludendo fattori causali concorrenti (tra le molte: Cass. n. 11016 del 19/05/2011; Cass. n. 25029 del 10/10/2008; Cass. n. 11227 dell’8/5/2008, cit. anche nella sentenza impugnata). La corte di appello non ha disatteso tale principio di diritto, nel momento in cui – rivedendo la decisione con la quale il tribunale aveva ricondotto l’evento in via esclusiva al comportamento del minore e dei soggetti preposti alla sua tutela e vigilanza – ha invece collocato tale comportamento nell’ambito di una responsabilità per l’accaduto, non esclusiva, ma soltanto concorrente. Ed anche in ciò la decisione della corte territoriale deve ritenersi conforme a diritto, ex articoli 2056 e 1227 cod.civ.. In definitiva, risulta univocamente dalla sentenza impugnata che la corte di appello si è fatta carico della eventualità che la condotta del bambino – operando quale caso fortuito nel senso su indicato – potesse essere tale da escludere, con il nesso causale, la responsabilità del custode ex articolo 2051 cod.civ.; ma ha poi negato in concreto tale possibilità, ritenendo che la condotta del bambino fosse stata sì rilevante nella causazione del danno (per quota equitativamente stimata del 40%) ma non al punto da mandare totalmente esente da responsabilità il custode del cantiere. Venendo, con ciò, alla pure lamentata carenza motivazionale, va osservato come il giudice di appello abbia dato ampiamente conto del proprio convincimento in ordine alla dinamica dell’incidente ed alla ripartizione delle responsabilità per il suo verificarsi. Concludendo, all’esito del vaglio istruttorio complessivo, che le parti convenute non avevano soddisfatto l’onere di provare la loro esenzione da responsabilità e che, anzi, era emersa la prova positiva di plurime e determinanti lacune nelle modalità di tenuta e messa in sicurezza del cantiere; quanto, in primo luogo, a preclusione dell’accesso da parte di estranei. Tali lacune sono state anche puntualmente individuate (sent. pag.3) nella mancanza: – di transenne all’ingresso; – di porte ed infissi, tanto all’ingresso di cantiere quanto nell’edificio scolastico in costruzione; – di qualsivoglia recinzione perimetrale. Questo stato di cose concretava, a giudizio della corte territoriale, una condizione di sostanziale abbandono del cantiere; vieppiù attestato dalla comprovata presenza in esso di tracce lasciate da barboni e vandali, evidentemente usi ad accedervi ripetutamente e con facilità. Si trattava, nella considerazione del giudice territoriale, di una condizione di trascuratezza e mancata prevenzione tale da permettere al minore di penetrare nell’area in costruzione e di muoversi all’interno di essa liberamente e fino al tetto. Ha poi soggiunto la corte palermitana che l’accesso al cantiere da parte di minori che abitavano nelle vicinanze (come A. ) non poteva ritenersi evento fortuito o imprevedibile, anche perché già verificatosi altre volte in passato; tanto che il comportamento dei ragazzini integrava un’abitualità di gioco “che avrebbe dovuto allarmare i custodi, e che appare del tutto eloquente sulla permeabilità delle misure di sicurezza e dei controlli”; sicché i custodi “avrebbero dovuto porre in essere ogni opera o attività seriamente idonea ad impedire l’ingresso nel cantiere di estranei o di bambini” (sent. pag.4). In presenza di siffatta motivazione, del tutto logica ed esauriente, non vi è spazio per addivenire ad una riconsiderazione probatoria e ad una diversa ricostruzione della fattispecie concreta; di per sé rientranti nella valutazione discrezionale, e qui insindacabile, del giudice di merito. § 2.1 Con il secondo motivo di ricorso il Comune lamenta violazione dell’articolo 16, primo comma, dpr 1063/62, dell’articolo 26 legge Regione Sicilia n. 21/85 e degli articoli 1665 e 2051 cod.civ.; per avere la corte di appello respinto la sua domanda di regresso nei confronti della Impresa Raggruppamento P.G. sas ed affermato la sua responsabilità in solido con quest’ultima, nonostante che nella specie gli oneri di custodia e buona conservazione delle opere di cantiere gravasse sull’appaltatore fino all’approvazione formale del collaudo dei lavori; non ancora intervenuta al momento dell’incidente. Con il terzo motivo di ricorso il Comune deduce analoga doglianza sotto il profilo della omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; per non avere il giudice di merito considerato che l’impresa appaltatrice aveva offerto la riconsegna del cantiere all’amministrazione comunale soltanto diverso tempo dopo l’incidente (come da lettere RR versate in atti). Il che escludeva che, al momento di quest’ultimo, vi fosse in capo al Comune un potere di detenzione e controllo della cosa tale da ingenerare una sua responsabilità ex articolo 2051 cc.
  • 2.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria in quanto entrambi basati – nella prospettiva della violazione di legge e della carenza motivazionale – sull’erronea affermazione della responsabilità solidale del Comune con quella dell’appaltatore. Per quanto concerne la denuncia di violazione di legge, la decisione della corte territoriale deve ritenersi corretta nel momento in cui ha affermato (sent. pag.4) che la mancata riconsegna dell’opera all’amministrazione comunale committente, valeva certamente a fondare la permanente responsabilità della società appaltatrice per la custodia del cantiere, ed i danni a terzi ad essa riconducibili. Sicché soltanto provando tale evento di riconsegna, la società appaltatrice avrebbe potuto dimostrare il venir meno di quella relazione diretta con la cosa che costituisce il connotato essenziale del rapporto di custodia, e della responsabilità conseguente. La mancata riconsegna, ciò nondimeno, non era al contempo in grado di mandare esente da responsabilità la stazione appaltante, ben potendo anche in tale situazione configurarsi un potere di vigilanza e controllo sul cantiere esercitabile direttamente ed autonomamente da parte del Comune. A fronte di questa ratio decidendi, il ricorrente richiama la disciplina sugli appalti pubblici, rimarcando la distinzione giuridica tra la consegna dell’opera tipica dell’appalto privato, e l’approvazione formale del collaudo finale invece tipica dell’appalto pubblico. Si tratta tuttavia di tematica giuridica inconferente, essendo qui pacifico che non vi fu né consegna né collaudo, bensì – come appurato dal giudice di merito – uno stato protratto di fermo lavori di per sé incidente sulle condizioni di sicurezza del cantiere; il cui mancato accertamento e rimedio va ascritto anche alla stazione appaltante. Si è in proposito affermato (Cass. n. 4591 del 22/02/2008; Cass. n. 1263 del 27/01/2012, ord.) che – proprio sulla base della disciplina pubblicistica dell’appalto – l’ente appaltante è dotato di specifici e particolarmente intensi poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza nell’esecuzione dei lavori; così da poter, tra il resto, esigere delle varianti, ovvero disporre la sospensione dei lavori stessi per ragioni attinenti sia alle modalità di esecuzione, sia ad altre considerazioni di rilevanza generale. Si tratta, del resto, di poteri che l’amministrazione appaltante può esercitare tramite l’organo a ciò preposto del direttore dei lavori, e che presuppongono proprio la pendenza del rapporto di appalto e, dunque, che non si sia giunti al collaudo ed alla consegna delle opere. Venendo con ciò alla dedotta carenza motivazionale, la corte d’appello ha dato congruamente conto della peculiarità di una fattispecie nella quale l’esenzione da responsabilità della amministrazione appaltante andava esclusa proprio in ragione della “conoscenza della situazione di prolungato fermo dei lavori” e di evidente abbandono di un cantiere privo di recinzione; conoscenza dalla quale il Comune avrebbe dovuto trarre motivo per diligentemente effettuare un controllo circa l’esistenza di “adeguate protezioni che impedissero l’accesso dalla via pubblica ad un cantiere di fatto abbandonato e pericolosamente inserito in un quartiere densamente abitato”. Nemmeno in tal caso, dunque, la valutazione così resa dal giudice di merito – assistita da motivazione logica ed esauriente – potrebbe trovare qui sovvertimento. Non senza considerare come la circostanza fattuale, del tutto pacifica, secondo cui il cantiere in questione non enucleava il perimetro adeguatamente segregato ed accessibile unicamente dagli addetti ai lavori, bensì un’area non delimitata ed aperta all’accesso abituale di terzi in continuità con il tessuto urbano, depone ulteriormente nel senso di ravvisare, anche in capo al Comune appaltante, una co-responsabilità direttamente ascrivibile al mancato esercizio da parte del medesimo di poteri di controllo, disposizione ed ingerenza sulla cosa.
  • 3.1 Con il quarto motivo di ricorso il Comune deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 2952 codice civile, nonché carenza motivazionale. Per avere la corte di appello erroneamente ritenuto prescritto il suo diritto alla manleva assicurativa per inutile decorso del termine annuale, nonostante che l’impresa assicuratrice avesse ricevuto la richiesta di risarcimento, direttamente dalla Cigna, mediante lettere raccomandate inviatele il 4 ed il 20 maggio 1999 e, dunque, a distanza di soli tre mesi dalla conoscenza del sinistro da parte di esso Comune (lettera 8 febbraio ’99).
  • 3.2 Il motivo merita accoglimento. Va premesso che la domanda di condanna in manleva proposta dal Comune nei confronti della propria compagnia di assicurazione deve ritenersi ritualmente coltivata, in quanto dall’amministrazione comunale espressamente riproposta in appello ex art. 346 cpc. Pur nella consapevolezza di un orientamento contrario (Cass. n. 15107 del 17/06/2013; Cass.n. 5249 del 10/03/2006), si ritiene di condividere l’indirizzo secondo cui qualora l’appellato miri all’accoglimento della propria domanda nei confronti del chiamato in garanzia, per l’ipotesi in cui venga accolta la domanda principale proposta nei suoi confronti dall’attore rimasto soccombente in primo grado, non è necessaria la proposizione di appello incidentale condizionato, essendo sufficiente la riproposizione, ex art. 346 cod. proc. civ., della domanda di manleva non esaminata dal primo giudice per essere stata respinta la domanda principale. Ciò perché “la parte vittoriosa in primo grado non ha motivo di dolersi dell’impugnata sentenza, né dispone di elementi sui quali fondare le proprie censure; sicché non può che limitarsi, per superare la presunzione di rinunzia, a riproporre la domanda di garanzia non esaminata, ancorché il rapporto dedotto in giudizio con l’appello principale sia diverso da quello concernente la domanda proposta nei confronti dei chiamati in causa” (Cass. n. 2051 del 30/01/2014). Venendo al fondo della doglianza, la sentenza impugnata (sent. pag.10) ha ritenuto estinto il diritto del Comune all’indennizzo assicurativo, stante l’inutile decorso del termine annuale di cui all’articolo 2952, terzo comma, cod.civ. (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alla legge n.221/12 di conversione del di n.179/12). Ciò sul presupposto che il Comune avesse ricevuto la richiesta di risarcimento da parte della Cigna mediante lettera raccomandata dell’8 febbraio ’99, e che la prima richiesta di indennizzo assicurativo fosse stata dal Comune stesso avanzata nei confronti di Generali spa soltanto con la citazione di chiamata in causa del 18 gennaio 2002. Per contro, dal doc.3) del fascicolo di parte attrice (lettera AR 4/12 maggio ’99, non considerata dalla corte di appello e testualmente riprodotta a pagina 24 del ricorso) risulta che quest’ultima aveva comunicato alla compagnia assicuratrice (oltre che al Comune): – il sinistro; – le sue modalità essenziali; – la propria richiesta di risarcimento del danno; – l’intenzione, in difetto, di adire le vie legali. E che questa comunicazione all’assicuratore di avvenuta richiesta di risarcimento del danno fosse nella specie idonea a sospendere il termine di prescrizione nel rapporto diretto tra assicurato ed assicuratore, ex art. 2952 4 co. c.c., “finché il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile, oppure il diritto del terzo danneggiato non sia prescritto”, discende dal principio (più volte affermato: Cass. n.4548 del 26.2.14; Cass.n.3042 del 28.2.12; Cass.n.17834 del 22.8.07; Cass.n.10598 del 2.8.01; Cass.n. 4426 del 17.5.97 ed altre), per cui l’effetto sospensivo della prescrizione in oggetto deve ritenersi raggiunto anche quando la comunicazione all’assicuratore della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato provenga non dall’assicurato, ma dal danneggiato medesimo, o finanche da un terzo. Né – contrariamente a quanto sostenuto dalla compagnia assicuratrice con richiamo a precedenti di legittimità non in termini con la presente fattispecie, in quanto relativi alla diversa ipotesi di interruzione della prescrizione: Cass. n.24733/07; 3371/10 – l’effetto sospensivo poteva qui negarsi in ragione del fatto che la richiesta risarcitoria avanzata dalla Cigna non recasse l’esatta determinazione del quantum richiesto.’ Dalla comunicazione in atti, infatti, si evince come la richiesta fosse stata espressamente estesa al “pagamento dei danni biologico e morale, nonché da inabilità assoluta permanente”, dandosi al contempo atto che l’entità dei danni non poteva trovare esatta e ragionevole determinazione se non in un momento successivo, “perché le ferite patite dal minore sono in corso di guarigione”. Si trattava, in definitiva, di una comunicazione sufficientemente univoca nell’esplicitare la volontà di ottenere dal Comune – anche previo “ricorso a vie legali”, in caso di mancato pagamento – il risarcimento di tutti i danni subiti dal minore, con conseguente certa e concreta esposizione del patrimonio dell’assicurato (v. Cass. n. 289 del 13.1.2015). La mancata quantificazione del danno risarcibile, d’altra parte, costituiva nella specie un’esigenza imposta dall’evoluzione delle lesioni riportate dal minore; risultando, in quanto tale, non preclusiva dell’effetto sospensivo, destinato ex lege ad operare proprio fino all’avvenuta liquidazione ed esigibilità del credito del danneggiato. La maturazione del termine annuale di prescrizione venne, in definitiva, qui impedito ben prima della chiamata in causa della compagnia assicuratrice da parte del Comune (unico elemento considerato dalla corte di appello). Ne segue il rigetto dei primi tre motivi di ricorso, nonché l’accoglimento del quarto. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Palermo; la quale valuterà nel merito la domanda di manleva assicurativa proposta dal Comune di Canicattì, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, ed accoglie il quarto; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Palermo, anche per le spese.