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Se la buca è nota, niente risarcimento

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voragineAncora una conferma del fatto che la familiarità con i luoghi, teatro del sinistro, esclude la responsabilità della pubblica amministrazione. Arriva dalla Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, adita da una cittadina del Comune di Crispiano che si era vista negare il risarcimento, dai giudici di prime cure, per la caduta in una buca presente sul marciapiede di una via poco distante dalla sua abitazione,.

I giudici pugliesi nelle motivazioni della sentenza, che non riforma la precedente, non ravvisano nel caso di specie, responsabilità in capo alla pubblica amministrazione né ex art. 2051 c.c. tantomeno ex art. 2043 c.c.:

“Deve ribadirsi che, nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità̀ di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279, cit.; v. anche Cass. n. 21727/2012). La Suprema Corte, in relazione all’ipotesi di responsabilità̀ gravante sul custode, ha affermato che il comportamento colposo del danneggiato può̀- secondo un ordine crescente di gravità- atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità̀ del custode (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 04/10/2013, n. 22684 in fattispecie analoga; v. sentenza 12 luglio 2006, n. 15779). Alla luce di queste premesse, la sentenza impugnata resiste alle censure prospettate. Infatti, la Ma., appena quindicenne all’epoca dell’occorso, pertanto agile e dotata di buoni riflessi, era caduta in zona ben illuminata lungo un percorso conosciuto, data la vicinanza della sua abitazione al luogo teatro del sinistro. La caduta in una situazione del genere può ricondursi alla esclusiva responsabilità̀ del pedone, ovvero non si deve ritenere di necessità “cagionata dalla cosa in custodia” (per riprendere la formula dell’art. 2051 cod. civ.) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 999 del 2014). Pur volendo esaminare la fattispecie sotto il profilo dell’insidia, ex art. 2043 c.c., deve rilevarsi che la stessa, risultando insistere su un tratto di strada ben conosciuto dalla danneggiata, per sua stessa ammissione ad usa a camminare senza guardare per terra e tenendo conto che la caduta si è verificata in luogo adeguatamente illuminato, avrebbe potuto essere preavvistata dal pedone o comunque affrontata con maggiore prudenza, con l’uso di quella normale attenzione che suole e deve riporsi nell’incedere. Per insidia si intende, infatti, quella situazione pericolosa, fonte di danno, non riconoscibile e prevedibile da parte di una persona di ordinaria diligenza. Nella specie, la caduta da cui sono derivati i danni sarebbe stato possibile evitare adottando la particolare attenzione dovuta “nell’uso ordinario e diretto del bene demaniale, per salvaguardare la propria incolumità̀” (C. Cost. 156/1999). Conclusivamente, l’appello va rigettato.”